Sono 87 milioni le persone nell’UE che hanno una disabilità; oltre il 50 % di esse si sente vittima di discriminazione; solo il 50,8 % ha un lavoro; il 40,9 % non riesce a pagare spese impreviste; oltre un milione di persone sotto i 65 anni vive in istituti. Sono dati su cui bisogna assolutamente riflettere e su cui l’Europa deve lavorare.
Come ho voluto sottolineare davanti all’emiciclo in seduta plenaria, siamo tutti d’accordo che la disabilità è un’innegabile condizione di svantaggio che, per milioni di persone, rende più difficoltosa la vita quotidiana ed il loro inserimento nella società. Purtroppo a distanza di anni e nonostante numerosi provvedimenti europei e nazionali, non sempre coordinati tra loro, dobbiamo prendere atto, e i dati citati ne sono la prova, che c’è ancora molto da fare ma, soprattutto, dobbiamo prendere atto di dover combattere e abbattere le barriere culturali dell’indifferenza oltre che della discriminazione.
Come spesso sottolineo, la disabilità è solo negli occhi di chi la vuol vedere creando barriere sociali molto più difficili da superare rispetto a quelle materiali.
Una barriera fisica può essere abbattuta, difficile, invece, rimuovere una barriera fatta di incomprensione, indifferenza e, spesso, ignoranza e maleducazione.
La risoluzione proposta dalla Commissione si propone di portare un cambiamento positivo nella vita delle persone con disabilità nell’UE e non solo. Ogni persona deve essere libera dalle discriminazioni e in grado di godere dei propri diritti in un’Unione dell’uguaglianza, così come di accedere a un’istruzione di qualità, ottenere un lavoro, viaggiare e compiere scelte senza ostacoli. Si basa su politiche attive di inclusione per garantire percorsi di autonomia, guardando soprattutto al “dopo di noi”, forse la fase più difficile non solo per la persona disabile, ma anche per i suoi familiari che vivono, in maniera anche più sofferta, il disagio e l’incertezza di avere fattive condizioni di inclusione.